domenica 20 settembre 2020

48 ore a Napoli e 40 metri sotto terra



Siamo a inizio settembre ma il freddo delle 5 di mattina lo sentiamo tutto mentre ci avviciniamo a Udine in treno. Il sole è ancora nascosto dietro le Alpi e i pochi passeggeri attorno a noi sembrano assonnati. Ma di certo non stanno andando in un posto esotico e non hanno in corpo l’adrenalina dell’inizio di un viaggio come l'abbiamo noi.
 

Man mano che io e Yasmin scendiamo verso sud, paesini arroccati e campi semiaridi si alternano alle grandi stazioni e alle aree di periferia che attraversiamo. Sedute di fianco a noi, due vecchiette ormai vedove si sono trovate e si dicono quanto è bello poter viaggiare insieme. Puglia, Campania, Sicilia…ma rigorosamente fuori stagione “o altrimenti c’è troppo caos”. Non glielo dico, anche perché pensano che io non sia italiano, ma concordo in pieno con loro: è molto bello viaggiare insieme a qualcun altro. E alla fine arriviamo: Napoli.

 

La prima impressione appena fuori dalla stazione è di nord-africa. Sporco, traffico e aria calda. Dopodiché, percorrendo Corso Umberto I in direzione del nostro alloggio, il traffico e le onnipresenti bancarelle si mescolano ai palazzi nobiliari, agli edifici dell’università e ai negozi di vestiti. E’ un qualcosa di nuovo per me, che forse ho intravisto soltanto a Palermo. 


Sopra: Un operatore ecologico ripulisce la galleria di Piazza del Plebiscito. Sotto: un telaio è stato ripulito dal motorino. 

Il mare. Lo cerchiamo subito, lo vediamo, ma non riusciamo a raggiungerlo. Il molo di fianco al Maschio Angioino viene interrotto da una zona militare. Nell’altra direzione inizia invece una lunga fascia portuale in gran parte chiusa al pubblico. Mentre a fianco del mare le macchine si azzuffano sul viale.


Le persone. Sfilandomi la camicia non mi accorgo che la mia carta d’identità è finita per terra. Se ne accorge una coppia in moto dietro di noi, che si ferma a raccoglierla e ci insegue per restituirmela. Un agricoltore intento a regolare l’irrigazione del suo campo non aspetta altro che un buongiorno per attaccare discorso e inquisire sulla mia vita. Un barista che mi chiede come sto e si ostina a non voler credere alla mia risposta. Una vecchina in fila che vuole assicurarsi che nessuno mi passi davanti e che mi protegge. Ristoratori e venditori che godono nell’offrire piccoli omaggi e puntualizzare come questi non siano inclusi nel conto finali. Tanti piccoli flash che non so quanto siano rappresentativi, ma che sicuramente profumano di generosità, ironia e curiosità. In una parola: umanità.

 

La pizza. A Napoli generalmente non c’è fretta. Si preferisce posticipare e non pensare subito al da farsi se non è strettamente necessario. Ma quando il bene in questione è la pizza, occorre che i pizzaioli viaggino in fretta e che ci sia un sistema ben chiaro ed efficiente per gestire i clienti. Perché a Napoli la città intera è cliente delle pizzerie, o almeno si ha questa impressione. Entrambi i posti in cui ci imbattiamo, uno rinomato e uno rionale specializzato in pizze fritte, hanno file chilometriche e sistemi ben precisi per rispettare l’ordine d’arrivo. In entrambe le pizze, la cosa che amo di più è la salsa al pomodoro. Seguita dalla pasta, talmente buona che non rimane nessuna crosta nel mio cartone (mai successo prima!). Ce le mangiamo entrambe in riva al mare, perché alla fine -se si vuole- uno sbocco al mare lo si trova sempre. Ma si dovrà tribolare un po’.

 

La privacy. Triboliamo anche per trovare il duomo. Ripercorriamo Via dei Tribunali, il cardine greco-romano, in lungo e in largo ma la traversa per il duomo continuiamo a mancarla. Ancora una volta vediamo l’obiettivo dietro ai tetti ma la strada ci viene continuamente sbarrata. In compenso abbiamo una panoramica costante sulle vite di certi abitanti della città. Conversazioni al telefono o da un motorino all’altro, pezzi di strada recintati a mo’ di balcone e finestre spalancate sulla strada dove si svolgono scenette quotidiane o dove, più frequentemente, se ne sta qualcuno seduto intento a guardarci dritto in faccia. Ma nella Napoli vecchia si va oltre alla privazione di privacy, ci si sente proprio tirati per le maniche in tutte le direzioni. 

 

La claustrofobia. La zona del porto e del mercato è storicamente l’area più povera e più densamente abitata. E’ perciò la zona più sudicia, ma anche la più turistica perché nel cuore della città. Specialmente di sera, che si cammini per le arterie affollate del quartiere o che si devii per le vie laterali impregnate di piscio, la sensazione prevalente è quella di claustrofobia e il desiderio è quello di fuggire verso spazi aperti e meno loschi. 


Angoli della Napoli del centro

 

Il giorno seguente Napoli ci appare diversa. La Napoli pedonalizzata di Piazza del Plebiscito e la Napoli signorile di Monte Sant’Elmo appartengono a una città diversa da quella vista la sera prima. Il cielo splende sul mare e sul Vesuvio e tutto sembra limpido e luccicante dall’alto. La funicolare ci riporta in mezzo alla città, a Montesanto, dove ci viene prontamente allestito un tavolino sul marciapiede e ci viene servita una pasta asciutta da urlo. 


Nomi di luogo. Alcuni religiosi, altri napoleggianti, altri ancora grecizzanti. Ma sicuramente non univoci. Infatti Google Maps ci porta a Pozzuoli, invece che a Bagnoli, mentre siamo in cerca della Villa di Posillippo. Ma poco importa dato che di resti romani ce ne sono a bizzeffe anche lì, incluso l’anfiteatro voluto da Nerone che è ancora in piedi e dove sta per svolgersi un concerto.

Stratificazioni. Forse neanche a Roma si va così “in basso” nel tempo. I sotterranei di Napoli sono infatti già incredibili così e molto non è stato ancora scavato. Come ci dice una guida, “non si può abbattere storia per cercare altra storia”. E quindi si scava solo dove non si va a distruggere niente, il che è cosa assai rara a Napoli. Ma in altri casi non c’è bisogno di scavare molto perché il sottosuolo non è mai stato realmente abbandonato. Come nel caso dei 40 chilometri di acquedotto romano, mantenuti in funzione fino allo scoppio del colera nel 1883 e riutilizzati come rifugi antiaerei nella seconda guerra mondiale da migliaia di napoletani. A Napoli si vive il presente calpestando la storia coi piedi, ma d’altronde è sempre stato così e non ci si fa tanto caso. 


I libri. Forse non ne ho mai visti tanti in vendita come a Napoli, ed è un gran bel segnale. I libri ti accolgono già alla mega Feltrinelli della stazione centrale, ma sono le piccole librerie del centro con le loro bancarelle -in particolar modo nella zona di Piazza Dante, vicino all'Università- a riempire le strade di libri e di cultura. Si percepisce una Napoli colta, dei movimenti studenteschi e dei caffè letterari.

 

Alla fine del nostro soggiorno a Napoli, prima di dirigerci verso le spiagge del Cilento, riemergiamo dal sottosuolo e siamo accolti dalle tarantelle di un quartetto di buskers. Facciamo l’esperienza della pizza a portafoglio, che riesce a essere buona anche se costa solo un euro. Sebbene ancora in carenza di quiete, ci viene difficile lasciare Napoli. 


La vista da Monte Sant'Elmo
L'anfiteatro di Pozzuoli

Paestum. Passiamo per Salerno, costeggiamo il mare per un po', attraversiamo campagne piene di serre e infine arriviamo alla stazione fatiscente, ma in via di ristrutturazione, di Paestum. Un altro nome evocativo, assegnato dai Lucani alla colonia greca di Posydonia e mai più cambiato. Anche perché la città fu dimenticata per vari secoli, trovandosi nel mezzo di un acquitrino (ora bonificato) e troppo a tiro delle flotte marittime di un tempo.

 

In effetti, dalla pineta lungomare dove siamo accampati alla città greca, ci sono meno di due chilometri. In tempi non pirateschi e non turistici è un gran lusso avere i templi di Atena così a portata di passeggiata. Me ne rendo conto già la prima mattina quando vado in esplorazione all’alba, svegliato dai cani del vicinato, svegliati a loro volta dai galletti della fattoria di fianco al nostro campeggio. 

 

Ma è anche vero che la smania di mostrare al mondo la bellezza di Paestum ha portato in passato alla costruzione di strade tutto intorno alla città greca. Il Parco Archeologico, che occupa una parte relativamente piccola dell’area delimitata dalle mura greche, si trova infatti confinante con una provinciale abbastanza trafficata (perfino all’alba!) e con una serie di aziende agricole che svolgono le proprie attività trattoristiche “entro mura”. 

 

Resta però un posto magnifico. Come Stonehenge, Machu Pichu e le piramidi d’Egitto questo luogo è un collegamento diretto con l’uomo delle origini e con le sue manifestazioni di magnificenza rivolte all’ultraterreno. L’architettura stessa dei templi di Paestum, la dimensione dei gradini delle scale e delle colonne, non era infatti a misura d’uomo ma a misura di Dio. Infine un altro sensore di collegamento all’uomo delle origini ci è dato dalla rappresentazione teatrale della Medea di Euripide, cui assistiamo proprio di fronte al tempio di Atena. E di colpo viene meno il tema della spiritualità e della ricerca di un contatto con le divinità, ma si fa largo l’umanissima sete di vendetta, scatenata dal sentimento di odio nei confronti di qualcuno che ci ha tradito e dall’antichissima esigenza di conservare l’onore del proprio nome. 


Medea in scena a Paestum 


Oltre alla città di Paestum, ci godiamo molto anche la spiaggia di Paestum. Il desiderio di avventura si affievolisce di fronte al fluttuare dolce delle onde e le nostre anime esploratrici e semi-sportive lasciano il passo a una riscoperta anima sedentaria e amante del buon vivere. 


E così come questo lungomare sabbioso, tanto rilassante quanto ricco di storie (dalle sirene dell'Odissea, ai succedimenti di popolazioni antiche e infine agli scontri sanguinosi fra alleati e tedeschi nel '43), così è stato anche questo nostro viaggio. E non c’è miglior luogo di questo per concluderne la storia. 




Fonti:

  • Paolo Macrì - NAPOLI. Nostalgia di domani (Ed. Il Mulino)

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