E' iniziato per gioco, come una battuta fra amici in una serata di inverno. Poi in qualche modo l'idea è rimasta lì, nelle nostre teste, e si è concretizzata qualche mese dopo quando abbiamo prenotato il volo. Bologna-Siviglia, in modo da poi arrivare in Marocco in nave "come i veri marocchini". Infatti la nostra idea è stata da subito di vedere il Marocco (da Nord a Sud) utilizzando i mezzi pubblici locali e adattandoci il più possibile allo stile di vita marocchino. Non è che avessimo molto di più in programma, né qualche cosa di prenotato eccetto l'ostello per la prima notte; eppure alla fine tutto è andato bene. Eccovi la storia!
Leonardo (detto il "gov"), Michele (detto "MadMax"), Francesco (detto "Vacca") e me. Con tutti e questi 3 soggetti sono stato amico per molti anni, ma non abbiamo mai viaggiato insieme (eccetto gite di classe o weekend in montagna ecc). Un vero viaggio mai. Ma non ho alcuna preoccupazione a riguardo, anzi sono veramente contento che si stia concretizzando. In effetti bisogna essere dei pazzi per accettare una proposta di road trip in Marocco senza macchina né programma ad Agosto. Fatto sta che, all'alba del giorno della partenza, ci dirigiamo verso l'aeroporto accompagnati dalla mamma di Vacca e poi ci imbarchiamo. Ci siamo, sta per succedere, ma a dividerci dal Marocco c'è la terra intorno a
Siviglia (la quale, come scopriamo grazie a un tassista, non è sul mare!!) e il mare stesso. Passiamo il primo giorno a girovagare per le afose vie della città e la sera in un locale dove suonano (e ballano) flamenco. La città e l'atmosfera non sono male, ma allo stesso tempo non c'entrano molto con il Marocco. C'abbiamo proprio un chiodo fisso in testa: vogliamo arrivare in Marocco il prima possibile. Così il giorno dopo prendiamo un bus fino ad Algeciras, dalla quale ci si può imbarcare per Tangeri città. Una volta sul traghetto e fatto il controllo passaporti, parte l'adrenalina per davvero. All'improvviso, senza nemmeno aver messo piede a terra, ci accorgiamo del cambio di cultura intorno a noi. Sul traghetto ci sono soltanto famiglie marocchine e lo spagnolo è già sparito.
Lo sbarco a
Tangeri è trionfale. Non soltanto a livello paesaggistico -perché Tangeri è veramente bella- ma anche emotivo. Siamo arrivati, immediatamente avvolti dal caldo del sole di mezzogiorno che batte sul porto quasi deserto e poi gradualmente risucchiati dal chaos della città man mano che saliamo verso il centro. Sì, "saliamo", perché Tangeri è tutta su e giù, costruita fra gli scogli e i promontori che danno sul mare. E questo mi riporta a quello che forse è stato il momento più bello della nostra permanenza a Tangeri, avvenuto nel pomeriggio dello stesso giorno del nostro arrivo o del giorno seguente. Durante un'esplorazione al di fuori del Suk, ovvero zona antica e centrale della città, capitiamo in un posto curioso. Ci troviamo al tramonto su una distesa di rocce più o meno lisce che dà su un pezzo di città sottostante e sul mare. Nella roccia sono state scavate decine di tombe e ci sono degli innamorati seduti e alcune famiglie a fare il picnic. Noi da lì scendiamo di poco seguendo una strada residenziale ed entriamo in un caffè sensazionale, costruito su 7 o 8 piani a cavallo della scogliera. Lì è anche dove assaggiamo il primo té marocchino. All'apparenza sembra più un insalata in tazza che un the, ma al gusto -signori- al gusto è dolcissimo ma è "tanta roba". Per il resto, Tangeri avrebbe tanto da offrire ma è anche molto lasciata andare. Camminando un po' fuori dal centro si percepisce dall'architettura di certi palazzi l'importanza storica e diplomatica della città, ed entrando in certi caffé in stile parigino si respira ancora l'importanza culturale che Tangeri doveva avere a suo tempo. Infatti la città è sempre stata internazionale per via della sua posizione geografica e del suo porto. Al cinema troviamo una programmazione molto interessante e approfittiamo per guardarci un buffo film egiziano ("
Alì, la capra e Ibrahim").
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Noi e il té marocchino |
Eppure ci dicono che oggi Tangeri viene tagliata fuori dai circuiti turistici tradizionali perché pericolosa. In effetti vediamo molta povertà e molti mendicanti in giro per il centro della città. Non a caso è qui che ci capitano alcune delle principali disavventure del viaggio, sebbene in buona parte cercate da noi stessi. In particolare ci succede che l'ennesimo tipo, di nome Rachid, ci approccia durante una nostra peregrinazione in cerca di un posto dove mangiare. Promessoci di portarci in un posto tipicamente marocchino e poco costoso, acconsentiamo di seguirlo, anche perché non ne possiamo più di cercare un posto dove mangiare, e così iniziamo ad attraversare mezza città al suo seguito. Attraversiamo piazzette, scorciatoie e mercati coperti che probabilmente non avemmo mai trovato da soli. Arrivati al ristorante, che ovviamente si rivela appartenere a qualche suo parente, ci viene proposto un menù completo a circa 10 o 15€, che decidiamo di prendere. Il cibo non è male e alla fine ci viene chiesto il prezzo concordato all'inizio. Il guaio, però, è che nei 2 giorni successivi non ci scaveremo più Rachid di torno. Infatti prima di andarcene, grazie al mago degli affari Francesco, ci accordiamo per andare a passare la notte seguente sulla terrazza di Rachid. Il mito della notte passata "sui tetti", sotto al cielo stellato della notte marocchina, ci ha accompagnato fin dall'inizio e non vogliamo farci perdere l'occasione di risparmiare sui 7 o 8 € euro dell'ostello. Così il giorno dopo ci ritroviamo con Rachid per lasciare gli zaini sul terrazzo, ma finiamo per mangiare lo stesso cibo nello stesso posto del giorno prima, sebbene non vogliamo. Eppure il peggio deve ancora arrivare...Una volta pronti per andare a dormire torniamo alla casa, dove in realtà non abita Rachid ma una coppia di giovani poverissimi. Casa loro è monolocale al secondo o terzo piano con un cucinino e un bagno senza acqua né gabinetto, ma semplicemente un buco collegato a chissà dove. Il terrazzo è degno della casa, sporco e con tanto di mamma e cagnolini allevati in un angolo dello stesso, proprio ai nostri piedi. La notte si rivela abbastanza disastrosa in termini di ore dormite. Non per un motivo soltanto, ma per una serie di eventi in successione. Prima di tutto sono l'agitazione, o forse solo il senso di inquietudine provocati dal luogo, ad accompagnarci prima di prendere sonno. E' in questo stato che, dopo un po', inizio a preoccuparmi per il passaporto e per parte dei miei soldi lasciati nello zaino. Mi metto a frugare fra le mie cose mentre gli altri si sono ormai addormentati. Sebbene non ricordi bene dove li abbia messi, mi pare proprio che siano spariti. Leo, che dorme di fianco a me, si sveglia e poi anche gli altri. Cerco ancora un po' ma, visto che né i soldi né i documenti sembrano saltare fuori, decido di scendere e andare a parlare con i 2 inquilini. Sentitomi scendere si alzano dal letto anche loro e salgono su in terrazza, ripetendo che "non può essere, non può essere, non è possibile" eccetera eccetera. Alla fine, cercato un altro po' con la luce, viene fuori che è ancora tutto nello zaino, in una taschina che mi era sfuggita. Il sollievo conseguente, e le meritate imprecazioni che ricevo, ben presto lasciano spazio a un sonno rilassato. A quell'ora della notte, si sente ancora un certo baccano e una musica come di festa africana, con canti e tamburi. Per quanto mi riguarda la stanchezza ha ancora la meglio sui tamburi, ma non sul Muezzin... Già dalle 4 di mattina, nelle città marocchine, riecheggia il richiamo alla preghiera, che si ripete circa ogni ora e viene amplificato dagli altoparlanti. Non immagini la potenza e l'insistenza di questa voce -che in un certo senso sta cantando ma molto lamentosamente- specialmente se ti trovi a dormire all'aperto non distante da una moschea. A chiudere il quadretto sinfonico, pure i cagnolini di fianco a noi si mettono ad abbaiare e a litigare fra loro. Uno riesce perfino a scappare dalla gabbia e saltare sopra al sacco a pelo di MadMax. Da quella notte, decidiamo che possiamo rinunciare all'idea di "dormire sui tetti del Marocco", o per lo meno iniziamo ad apprezzare maggiormente gli ostelli.
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Tangeri e l'oceano |
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Postazione letto su un tetto di Tangeri |
Il proseguimento del viaggio è una discesa nemmeno molto graduale verso i climi e i paesaggi subsahariani. Infatti, già arrivati a Fes, la temperatura si assesta sui 40° e la vegetazione stenta a crescere. Ma prima di dirigerci lì optiamo per due deviazioni. La prima verso l'oceano a sud di Tangeri, per vedere i graffiti e le spiagge di Asilah. Sebbene constatiamo l'esistenza di entrambi, vicissitudini con la popolazione locale e una nebbia da pianura padana complicano le nostre semplici intenzioni. Così che ci ritroviamo sul taxi scassato e abusivo del ritorno a mani abbastanza vuote. Tutti ma non MadMax...
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Atti osceni ad Asilah |
La seconda deviazione è invece verso le montagne dove si trova la città blu di Chefchauen. Capitale turistica del nord e, come appuriamo in breve tempo giudicando dalle offerte che riceviamo, capitale marocchina della coltivazione di hashish. La posizione, i colori e "l'atmosfera" che caratterizzano Chefchauen la rendono appetibile a molti backpackers e viaggiatori, che affollano anche il nostro ostello. In particolare Vacca stringe amicizia con un argentino 50enne plus. Dettoci di essere un famoso scrittore proviamo a cercarlo su google, ma l'unico risultato relativo al suo nome è un truffatore scappato per non pagare le tasse. Incontriamo di sfuggita anche qualche altro soggetto interessante ma ci manca il tempo per approfondire queste conoscenze. Abbiamo una lunga strada davanti a noi e quindi ci fermiamo soltanto una notte. Prima di arrivare a Marrakesh, vogliamo fare sosta anche a Fes, Meknes e Rabat.
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Chefchauen, la città blu, vista dalle montagne circostanti |
L'arrivo a
Fes, la sera seguente in bus, è uno shock. Dopo le strade devastate per arrivare, un manto liscio annuncia la città. Sollevando lo sguardo non si riconosce più il Marocco, ma sembra di stare in qualche nuovo quartiere di Milano. Alla sera le strade sono vuote e larghissime, qualcosa di inaspettato e spettrale. Ma poi tutto torna. Questa non è la vera Fes, bensì "Nuova Fes". Sede degli uffici e dei benestanti. Per arrivare a Fes vecchia occorre prendere un taxi e farsi accompagnare a una delle porte d'ingresso della città. Così facciamo e ci avventuriamo nella medina alla ricerca del nostro ostello. La ricerca si rivela difficile dato che Google Maps si ritrova solo una volta su 10 fra i meandri di Fes, mentre per le restanti 9 il puntino blu della nostra posizione vaga nel vuoto o fra strade che non esistono. Arriviamo a destinazione seguendo un gruppetto di bimbi di strada, che in cambio vogliono qualche dirham. Di Fes dicono che sia la città più rappresentativa ma anche più pericolosa del Marocco. Girando prima di giorno, fra le zone povere intorno alle concerie e verso il "castello" sulla collina di fronte alla città, e poi alla sera, mi rendo conto che c'è del vero in quell'affermazione. Eppure è solo una sensazione, perché in realtà non ci capita nulla di pericoloso o di spiacevole. L'unica cosa è che ci viene negato l'ingresso a ogni moschea e perfino alle strade adiacenti alle moschee dove ci rechiamo. "Gli occidentali non sono benvenuti in moschea e non sono ammessi in questa parte della città durante le ore di preghiera" ci viene ripetuto. Fino all'ultimo non capiamo se è una vera e propria regola, ma ci adeguiamo ad essa. Comunque ci sono altre cose da fare, principalmente camminare. Un pomeriggio incontriamo due tedesche, con cui condividiamo la nostra unica birra marocchina (l'alcohol è vietato dal codice mussulmano e quasi introvabile in Marocco). Ce la beviamo nel terrazzo con piscina di un hotel affacciato dalla parte sbagliata per il tramonto, ma la gratificazione è grande lo stesso.
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Una delle porte della medina di Fes |
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Conceria a Fes. Filtro: lente d'occhiale da sole di Vacca |
Meknes e Rabat non ci lasciano entusiasti. Entrambe centri politici, l'una oggi e l'altra in passato, ma poco vive e non così interessanti da vedere. Eccetto alcune eccezioni: la città romana, la "Pompei" del Marocco, a pochi chilometri da Meknes; la città alta di Rabat, affacciata sul porto dove si trovavano le locande frequentate dai pirati e malfattori di Salè; le rovine di Chellah, luogo sacro ora abitato soltanto da cicogne e giardinieri. Ci muoviamo in fretta, approfittando dell'unica tratta ferroviaria del paese Rabat-Casablanca-Marrakesh.
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Chellah (Rabat) |
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Meknès antica |
Sceso dal treno, in taxi verso un hotel, Marrakesh e il suo traffico mi spaventano. E' quasi notte, ma la città non dorme e tutti sembrano essere per strada diretti da qualche parte. Mi guardo intorno mentre l'autista improvvisa una sosta presso una solitaria pompa della benzina nel mezzo dell'arteria stradale verso il centro. Moto, pedoni, animali, carretti... Potrebbe essere India, ma invece è Marocco.
La medina è chiusa al traffico, le strade sono troppo strette, ma le moto girano lo stesso. Una piazza gigantesca chiamata Jamaa-El-Fnaa è il punto di incontro della città. Storicamente piazza del mercato, oggi piazza del turismo e pertanto affollata di bancarelle, taxi parcheggiati, musicisti berberi e addomesticatori di serpenti. Ci si può trovare di tutto in piazza Jamaa-El-Fnaa. Di tutto tranne che un po' di tranquillità. Per trovare quella bisogna cercare altrove. Una zona tranquilla, seppur centrale, è quella intorno al Palazzo Bahia. Un'altra è nei pressi della vecchia moschea di Ibn Yusuf. Altrimenti, fuori dalla città in direzione delle montagne.
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Strada nei dintorni della moschea di Ibn Yusuf |
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Palace de la Bahia (Marrakesh) |
I
Monti Atlas, con le vette più alte del Nord Africa, non sono lontani. Separano Marrakesh dalla regione desertica a confine con l'Algeria e sono abitate dai berberi, originari abitanti del Marocco prima della sua islamizzazione. Villaggi di argilla mimetizzati a cavallo delle ripide scarpate e dei terrazzamenti coltivati. Fitti boschi mediterranei alternati a enormi valli pietrose. E alla fine del paese, in prossimità di Ouarzazate e del confine algerino, la sabbia. Prima sospesa per aria, portata dal vento, e poi man mano depositata su ogni superficie, sulle ultime case e sugli ultimi cactus prima del deserto. Anche se a dire il vero la maggioranza dei deserti del Marocco non è sabbiosa, ma "pietrosa". Deserti diversi da come ce li immaginiamo. Accomunati soltanto dal sole e dalla mancanza d'acqua, ma più simili a Canyon e valli di polvere rossiccia. Ma noi optiamo per la sabbia. Un furgoncino da 9 persone guidato da Mohamed, smilzo sessantenne di poche parole seppur allegro, ci porta ai confini del paese in circa due giorni di viaggio. Il cielo stellato sopra il tetto dell'albergo di montagna dove ci fermiamo resta forse il ricordo più emozionate. Un cielo notturno di tale nitidezza non l'ho mai visto prima, e non sarà lo stesso nemmeno la sera dopo dall'oasi nel deserto. Non so se sia la sabbia portata dal vento, le nuvole sopra di noi o soltanto la presenza degli altri turisti convogliati all'oasi, ma quando ci stendiamo a guardare in su...la magia è finita. Le stelle non brillano e il sole dell'alba è pallido e incolore. Prima di poterci accorgere di essere nel deserto del Sahara, ci dicono che è ora di uscirne, o poi farà troppo caldo. Così risaliamo in groppa ai dromedari e ci ri-incamminiamo, nuovamente diretti verso Marrakesh.
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Oasi ricavata grazie alla raccolta di acqua piovana |
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Dromedari in attesa presso l'ultima città prima del deserto (Merzouga) |
In città fa parecchio caldo. Un pomeriggio mi sento la febbre e il mal di testa, e vorrei trovare un angolo di verde dove stendermi un po', ma non è possibile. Invece capitiamo in quella che sembra essere la zona più povera di Marrakesh, intorno a Bab Debbagh. Percorriamo la via dove sono rimaste le ultime concerie della città. Una lunga strada sporca e puzzolente. Tutti stanno in strada o "in negozio", vendendo ogni genere di cose per pochi cent. Come i ghiaccioli scaduti che accettiamo di comprare. Alcuni hanno brutte facce e aspettano agli angoli come spacciatori. Ma poco più avanti scorgo un murales colorato che dà tutto un altro tono alla via. Risalendo verso il centro la via prende le sembianze della medina e si confonde con le altre strade.
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Murales a Marrakesh |
Di ritorno dal deserto siamo divisi dal dubbio: possiamo vedere un po' più montagne, tentando la scalata del monte Toubkal, o fare un ultimo saluto all'oceano. Optiamo per l'oceano e ci dirigiamo verso
Essaouira. Ci arriviamo con un taxi scassato, che ci scarica all'ingresso della porta principale della città. Il cambiamento di atmosfera e di temperatura è immediato. Non lo vediamo, ma non c'è dubbio che siamo sul mare. Entriamo nella medina, che è piccolina ma molto bella. Lasciamo gli zaini e torniamo subito indietro, perché abbiamo notato un posto dove mangiare dentro il mercato del pesce. Funziona così: prima fai un giro per le bancarelle e ti scegli il pesce che vuoi mangiare, poi quelli del ristorante te lo puliscono e te lo grigliano praticamente in faccia. Il tavolo dove ci fanno accomodare infatti è affacciato tramite una finestra-ingresso sulle griglie. Un fumo e un profumo pazzesco.
Altra zona interessante della città è il porto, dove inizia un altro mercato e dove si respira di nuovo aria intrisa di pesce. Oltre al pesce, si respirano anni e anni di storia. E' ben conservata Essaouira, con i suoi torrioni, muraglioni e carruggi scuri. L'unico problema è il vento. Il nostro programma di imparare a surfare non può concretizzarsi, non ce le danno le tavole. Nessuno si azzarda a nuotare con quelle onde. Optiamo per una camminata sulla spiaggia, che si rivela un'impresa disperata. Mai fatto così tanta fatica a camminare.
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Porto di Essaouira (sopra e sotto) |
Dopo la seconda notte torniamo a Marrakesh. Rimaniamo in città un paio di giorni, fino a che non è ora di tornare. L'aeroporto
Menara di Marrakesh è un blocco di cemento di quelli che ti aspetti di trovare a Dubai. L'entrata moderna e gli interni lussuosi stonano con l'immagine decadente che ci siamo costruiti nelle 3 settimane trascorse. Ci prendono le impronte digitali e ci timbrano il visto d'uscita. Davanti a noi resta solo un'ultima notte a
Madrid, prima del volo per Bologna nel primo pomeriggio. Decidiamo di non prenotare un letto, ma di passare la notte in giro. Iniziamo da El Tigro, dove ordinare un cocktail o una birra include un vassoio di tapas e stuzzichini. I vasi di Mojito che ci portano quella sera sono una manna dal cielo dopo le 3 settimane mussulmane (e quindi semi-astemie) che abbiamo passato. Il guerriero Mad Max ha una febbre da cavallo ma non si rassegna a cercarsi un ostello dove risanare e ci segue con passo trasandato. D'altronde è l'ultima sera dell'intero viaggio, come potrebbe? Passiamo da Plaza Mayor e da Puerta del Sol, ma non c'è molta gente in giro. Finiamo in un altro locale a bere, ma a un certo punto ci dicono che sono in chiusura. E' così che iniziamo a cercare un prato dove sdraiarci. E' calata la notte e fa freddo. Troviamo un posticino nella zona del palazzo reale ma io non riesco a dormire per più di una o due ore. Mi sveglio alle prime luci del mattino e approfitto per fare un ultimo giro. La città si sta svegliando, con i joggers mattinieri e i lavoratori che fanno pausa caffè prima di entrare in metro. Provo una sensazione rassicurante a essere di nuovo in Europa. Poi ordino dei churros che mi lasciano un po' deluso, e mi incammino per raggiungere nuovamente gli altri. Arrivo in tempo per godermi la scena degli spruzzini di irrigazione che innaffiano i miei compagni di viaggio, strappandoli da chissà quali sogni. In qualche ora siamo seduti sull'aereo di ritorno. Seguo i profili della costa e le creste delle montagne, finché non perdo l'orientamento. Ogni pianura mi sembra già Bologna, ma ci vuole molto di più ad arrivare. E' la magia del nostro pianeta e della geografia.
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Ultima notte a Madrid |