martedì 2 luglio 2019

Uganda - Parte II. "Un vecchio bus verso ovest"

Un vecchio bus senza scritta del capolinea e un sacco di persone al suo interno. Un autista circondato da valigie polverose, incluse le nostre. Poi il rombo del vecchio motore e il macchinoso cambio di marcia. E' cominciato così il nostro viaggio da Karuma a Fort Portal, città secondarie dell'Uganda. Un viaggio come molti altri, eppure in qualche modo speciale.

Un matatus si ferma per il rifornimento di bibite e snacks 
Sin dal principio, le circostanze di questa storia sono state un po' caotiche. Anche se poi si sono raddrizzate un poco. E' iniziato tutto così: per una questione di soldi, veniamo fatti scendere all'improvviso dal nostro mini-van (sì, abbiamo posseduto un mini-van! non nostro ovviamente, ma a noleggio). Il contatto che ci era stato passato da un ranger del Rhino Sanctuary, in grado di fornirci un mini-van e un autista per raggiungere la parte nord-occidentale del paese (quella in cui si trova la maggior parte dei grandi parchi nazionali, dove è obbligatorio possedere un veicolo per accedervi), si è dimostrato essere un bastardo. Infatti ci ordina telefonicamente di scendere in strada immediatamente dopo la prima tappa (le Murchison Falls), non appena noi rifiutiamo i suoi "nuovi termini" riguardanti il costo totale del pacchetto. A noi questa nuova cifra sembra una vera e propria truffa, per cui raccogliamo tutti i nostri possedimenti e iniziamo a metterci in cammino, nel bel mezzo del nulla. 

Fortunatamente, l'autista e il passeggero/guida che abbiamo caricato hanno buon cuore e tornano indietro per accompagnarci almeno alla fermata più vicina. Non appena salutati e rimessi gli zaini in spalla, tempo meno di 8 secondi, eccoci a bordo di un nuovo mezzo: il vecchio bus senza capolinea. Il "conductor" e alcuni passeggeri dell'autobus sono infatti corsi in strada verso di noi appena notatici. Ci prendono gli zaini, ci mettono 2 biglietti in mano e ci scortano verso un paio di posti fatti liberare per noi. Non ci è dato scegliere o parlare, tutto si svolge fulmineamente.

L'autobus è sporchino e ricoperto di polvere ocra-rossastra. All'interno, tutto ha un vecchio aspetto ed è in condizioni precarie, con molti dei sedili consumati o mezzi stracciati. In più, fatico a capacitarmi del carico di valigie e persone al suo interno. Tutto sommato vi ripongo poca fiducia, specialmente guardando alla strada disastrata di fronte a noi. Eppure siamo qua. Con il calore del motore che ci brucia i piedi e i nostri culi che fanno su e giù peggio che in una montagna russa.

Fuori c'è uno spettacolo di animali, veicoli improvvisati e umani intenti nelle attività più disparate (o addormentati nell'ombra). Sono certo che sarebbe anche un magnifico concerto di rumori, ma il rombo del motore copre ogni cosa. Intorno a me ognuno è seduto appiccicato all'altro. Non molti parlano, ma sembra di essere tutti parte di una stessa famiglia.

Strada ugandese attraverso una savana
Un insegnante, alcuni ragazzi di una scuola di turismo locale e noi presso le Murchison Falls
Yasmin e io siamo seduti davanti, proprio dietro all'autista. C'è anche un uomo abbastanza giovane che condivide il sedile con noi. Dapprima non dice niente. Ma dopo un po' lo vedo sorridere in direzione della mega piuma che ho attaccato al mio cappello. Allora con una mossa glielo provo sulla sua testa. La gente intorno a noi ride e noi iniziamo a parlare, mentre Yasmin pian piano si addormenta.

Viene fuori che lui è un agricoltore e ha 4 figli, i quali vanno tutti a scuola (cosa di cui lui è molto orgoglioso). Mi dice che deve lavorare molto per poterceli mandare, e che il suo campo sta a 3 ore di distanza, sebbene Sam provenga in realtà da una zona fertile. "Posso fare più soldi lì. Coltivo mais e fagioli e poi li vendo all'Azienda". Gli chiedo quale azienda, e lui mi spiega che è una multinazionale straniera che ordina e compra prodotti da agricoltori come lui. Provvede anche fornire semi, pesticidi e fertilizzanti.

Il fatto dell multinazionale mi turba un po'. Quando gli dico quel che penso (cioè che potrebbe anche considerare altre opzioni, per non sottomettersi alla multinazionale e praticare un tipo di agricoltura sostenibile), mi sento saccente e idealista. Le mie obiezioni mi paiono così vuote rispetto al suo bisogno di mantenere 4 figli...Eppure lui sembra comprendere le ragioni di quel che dico. Non ribatte granché, ma i suoi occhi sembrano conoscere queste cose. Ad ogni modo non voglio andare oltre con questa discussione, e ricordandomi del mio cappello che è ancora sulla sua testa non posso che sorridergli.

Sam e il mio cappello 
Circa ogni 30 minuti l'autobus si ferma in un villaggio, dove stormi di persone aspettano pronti: vendono cose da bere e da mangiare ai passeggeri attraverso i finestrini. Non appena ci vedono, iniziano a insistere più veemente, urlando con eccitazione: "Musungu! Musungu!" (Bianco! Bianco!). Questa volta compriamo una bibita molto intensa e rinfrescante allo zenzero. E in qualche modo, dopo 50 o 60 km di strade bucate, raggiungiamo Masindi.

Da Masindi, un paesone molto povero, non siamo lontani dalla riserva naturale di Budongo, che è la destinazione di Yasmin per via della sua ricerca sulla gestione delle aree forestali. Sulla strada per la riserva passiamo vicino ai terreni infiniti di una multi-nazionale indiana, forse la stessa di cui parlava Sam. Infine raggiungiamo la casupola di legno all'ingresso della foresta, da cui emerge un guardiano che ci lascia passare. La cosa che noto subito è la quantità impressionante di farfalle, e poi il fresco che c'è nella foresta.

Il centro di ricerca è un insieme di casette bianche al centro della riserva. Sin dal 1990, qui si studiano gli scimpanzé e gli impatti della gestione forestale sulla biodiversità. Il gruppo di ricerca è piccolino e si vede che non sono molto abituati a ricevere ospiti, così rimaniamo il più possibile discreti. E il giorno seguente siamo pronti a proseguire il nostro viaggio, stavolta in direzione di Hoima.

Un babbuino cerca di introdursi nel centro di ricerca
Il matatus ci lascia nel mezzo di una grande piazza con un mercato, limitata in ogni lato da edifici alti con dei bei tetti e un sacco di "matatus" e di "boda-boda" parcheggiati (furgoncini e moto-taxi) al centro. Noi scappiamo via dalla calca di tassisti e venditori ambulanti, che ci parlano tutti insieme. Non appena chiusa la porta dell'ostello, lasciandoci tutto il rumore alle spalle, ci appoggiamo sul letto e per 2 ore non riusciamo ad alzarci dalla stanchezza.

Poi usciamo nuovamente in strada, mentre la notte è calata. Le notti africane sono di un nero scurissimo e rimpiazzano il giorno MOLTO in fretta. Anche in vere e proprie città come Hoima, si direbbe che l'elettricità non sia cosa comune. In alcune strade, dei fuochi all'interno di barili metallici fanno luce al posto dei lampioni. Ci sono persone e c'è della musica nell'aria, ma proviamo comunque una sensazione di disagio e allora aumentiamo istintivamente il passo.

Siamo diretti verso un posto dove mangiare di cui cui ho letto sulla guida. Quando arriviamo, ci accorgiamo di essere gli unici clienti e 2 donne ci accolgono con entusiasmo. Vicino al bancone c'è un tavolino con una grossa pentola contenente una zuppa di arachidi, da cui spuntano delle teste di pesce. Mangiamo di gusto, evitando però le teste, e spendiamo in tutto circa 7 o 8 € (30 000 shilling ugandesi).

Il giorno seguente torniamo nella stessa strada per fare colazione. In Uganda, alla mattina si mangiano più o meno le stesse cose della cena: riso, fagioli, platano o patate bollite e all'occorrenza della carne. Ma va bene, abbiamo di fronte a noi tanta strada e ci serve dell'energia. Dall'area delle Murchison Falls, siamo infatti diretti ancora più a Ovest verso le Rwenzori Mountains, le quali dividono il paese dal Congo.

Da Hoima, i matatus accompagnano fino a là per qualche dollaro. Così saliamo a bordo di uno di questi. Il matatus è ancora mezzo vuoto, l'autista non è pervenuto, così aspettiamo. Dopo 40 minuti siamo ancora fermi, essendoci alcuni posti ancora liberi. E nell'attesa, un tizio dall'aspetto stravagante attacca bottone con me.

Vuole convincermi di chiamarsi "Jerry the killer", di avere 40 fratelli e di essere un soldato. Non un militare dell'esercito, ma un "Revolutionary", un militante di guerriglie. Ha combattuto in Sud-Sudan, "dove le persone erano animali impazziti, non umani". Dice di essere famoso nella zona e che le donne lo adorano molto. Nel frattempo non posso smettere di guardare i suoi occhi rossi, quasi fuori dalle orbita, e il suo modo drammatico di usare il corpo mentre mi parla. In tutta onestà ha abbastanza l'aria di un tossico dipendente, e alcuni passanti scherzano su di lui, ma nel frattempo Jerry inizia a darsi da fare per noi.

Jerry the killer
Visto infatti che dopo che altri 20 minuti  di attesa le nostre anime di occidentali iniziavano a essere impazienti, Jerry ci introduce ad alcuni tassisti privati e inizia a contrattare sul prezzo per noi.  Dal momento in cui abbiamo considerato l'idea di andare in taxi, l'interesse generale sembra spostarsi su di noi e una folla di gente (anche non tassisti) inizia a circondarci. Sembra quasi che la decisione riguardo a chi debba aggiudicarsi questa somma di denaro appartenga alla comunità, dato che all'improvviso ognuno suggerisce persone diverse e lancia le proprie ragioni. Alla fine seguiamo quello che sembra essere il volere della gente e ci facciamo accompagnare da un ragazzone verso la sua macchina.

Ci vergogniamo un po' di aver confermato il cliché dell'occidentale "ricco" e viziato, che può permettersi di prendere un taxi anche per fare una distanza lunga. Ma già dopo un po' di strada, non ci pentiamo più. Siamo anzi molto grati di essere a bordo di un auto spaziosa e con gli ammortizzatori che funzionano.

Così arriviamo a Fort Portal, l'ultima città prima delle montagne. Insieme a Kasese, la città è un punto di partenza per molti dei sentieri migliori nel paese. Le Rwenzori Mountains sono infatti una catena montuosa importante, dove la cima più alta (The Mount Stanley) raggiunge i 5109 metri. L'area montuosa è protetta da un Parco Nazionale, all'interno del quale è purtroppo molto costoso rimanere (40€ dollari al giorno). Per questo motivo siamo costretti a rinunciare all'idea di fare un trekking vero e proprio, ma optiamo per un giro più tranquillo sulle pendici delle montagne non lontano dalla città.

Già lì, in una zona fondamentalmente di alta collina, lo scenario è totalmente diverso da quanto visto prima. Ad accoglierci c'è una foschia autunnale, posata sopra il verde tropicale di lunghissime piantagioni di caffè. Salendo man mano di quota, insieme a una guida che fa parte di un'associazione che promuove il turismo responsabile, passiamo vicino alle ultime case del paese e vediamo brillare i tetti in lamiera delle case di sotto. Le pendici scoscese intorno a noi sono tutte coltivate, principalmente a patate e fagioli. Seppur rade, vediamo case sparse un po' dappertutto e vediamo anche la scuola sul fondovalle.

Panorama in direzione di Fort Portal


Il ragazzo che ci fa da guida ci racconta quanto creda nell'importanza della scuola, non soltanto per le nuove generazioni ma per tutta la comunità. Lui stesso insegna volontariamente nella scuola per trasferire le conoscenze di base agli adulti del suo paese. Tuttavia ci fa capire abbastanza chiaramente che le risorse a disposizione della scuola non sono sufficienti. Anche i proventi della sua associazione, che vengono devoluti al funzionamento della scuola, sono pochi. Infatti il turismo sulle Rwenzori Mountains, che avrebbe in realtà un grande potenziale, non si è mai risollevato veramente dopo le guerre civili in Congo ed Uganda. Questa zona viene percepita come pericolosa ed è tagliata fuori dai principali circuiti turistici.

Noi continuiamo il nostro cammino e infine raggiungiamo le porte del Parco Nazionale. Probabilmente nessuno ci vedrebbe entrare, ma è meglio fermarci lì e scongiurare ogni problema. Inoltre siamo già molto contenti perché, proprio lì a due passi dal confine, abbiamo incontrato il  nostro primo camaleonte. Un animale preistorico e pacato, più grosso di quanto immaginassi. E soprattutto non multi-color o megasuper-transformer...Durante il nostro incanto davanti a lui (o lei), durato almeno 5 minuti, il camaleonte è rimasto lo stesso, così come lo vedete in foto. Eppure ci è voluto un locale per scovarlo, perché gli occhi appannati di due occidentali non l'avevano notato!

Il Jackson's chameleon dell'Africa orientale, esemplare di maschio
L'inizio del Rwenzory National Park


Un qualche extra:

  
Show improvvisato per noi, vicino all'albero sacro di Nakaima a Mubende (https://www.ugandasafaristours.com/blog/nakayima-tree-tree-mystery.html)

 
Strada di campagna vicino al Lake Wamala vista da un boda-boda


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