giovedì 5 maggio 2016

Interrail nord-Europa

I NUMERI

12 nazioni attraversate
21 città “visitate”
80 ore di treno
23 ore di nave
85 euro di taxi
43 amici incontrati (23 vecchie   conoscenze e 20 nuovi incontri)
8 lingue diverse ascoltate
5 tipi di moneta usati
12 ostelli diversi
2 cappelli persi
3 lavatrici
ca 500 foto scattate (un record personale)
ca 20 colpi di fulmine (al giorno)
1 libro letto
15/300 pagine studiate
ca 30 sandwich mangiati (fatti o comprati)
2 kebab
12 giga di nuova musica ascoltati
1 e ½ film guardati
3 secondi cugini conosciuti
5 musei visitati (di cui 3 gratuiti)
2 hiking in Scozia e 2 biciclettate
1 barca a remi noleggiata





LE TAPPE


La notte prima della partenza non dormo, non ci provo neanche, perché ho ancora troppe cose da sbrigare e comunque non credo che ci riuscirei. Sebbene voglia lasciarmi il più libero possibile (non prenoto nessuna notte in ostello eccetto la prima, né traghetti o treni che richiedono prenotazione), ho mille cose a cui pensare contemporaneamente (quali vestiti, libri e gadget da mettere in valigia, che musica mettere nell'ipod, fotocopiare documenti, mettere tutto in carica, guardare google maps e tutte le possibili coincidenze ecc ecc). Mi agito come una trottola su e giù per la casa e il tempo scorre velocissimo. Alla fine decido che sono pronto, devo andare. Parto prestissimo (non è ancora l'alba), perché il treno che voglio prendere è prestissimo! Quando salgo sul treno -un regionale diretto a Milano- tutta la tensione sparisce e mi abbandono sul sedile.



Pian piano mi lascio indietro tutti i nomi familiari, poi la pianura padana, l'Italia, la Svizzera e mi fermo solo a Lione. Sono le 4 del pomeriggio. Mi accoglie una città sotto la pioggia battente, di cui conosco soltanto l'indirizzo dell'ostello. Giro in tondo e senza azzardarmi a usare il mio francese nella zona dove dovrebbe essere la via che cerco, ma non la trovo. Passa un tempo che mi sembra interminabile e la pioggia e il peso dello zaino sulle spalle trasformano tutto questo in vera e propria disperazione. E' solo la forza di volontà che mi spinge a continuare a cercare e a imboccare nuove vie fino a campanarci qualcosa e capire dov'è che devo andare di preciso: la via dell'ostello si trova in cima alla collina soprastante, che io inconsciamente non avevo nemmeno considerato. Ci arrivo tutto sudato e bagnato di pioggia, “è il caso di farmi una doccia” penso. Sistematomi e messo qualcosa sotto i denti, vengo preso da un senso di solitudine e di timore per tutto quello che mi aspetta e che se ne sta là, ancora vago e immenso, ad aspettarmi. Inoltre devo ancora abituarmi alla logistica della situazione in cui mi trovo e continuo a perdere una cosa cosa dopo l'altra, per poi ritrovarle ogni volta in un angolo diverso delle borse che mi sono portato. Mi sento veramente di pessimo umore e l'unica cosa che mi resta da fare è di andare a dormire. Il giorno dopo, mercoledì, la pioggia se ne è andata e mi faccio un giro a piedi per la città. Lione è sterminata, è la seconda o terza città di Francia e si trova nel punto dove confluiscono il Rodano e la Senna. Il centro storico, compresa la collina dove ho dormito, mi piace molto. Il resto della città è invece abbastanza anonimo e molto geometrico. Mangio una baguette farcita con un ripieno di verdure e formaggio molto acido e decido che voglio andare subito a Parigi, dove ho diversi amici che mi aspettano.





I tre giorni giorni che passo a Parigi sono bellissimi. Sono ospite di  amici di famiglia, che mi riempiono di attenzioni e mi danno consigli sulla città. Sono contento di avere appuntamenti, orari da rispettare e indicazioni e sono contento anche di avere altri 2 amici, anche loro ormai “parigini doc”, con cui uscire la sera e farmi lunghe passeggiate in giro per la città. Dopo la terza notte decido però che è il momento di proseguire il viaggio e dirigermi verso l'Irlanda.




Arrivo a Dublino con un traghetto dall'Inghilterra, che riesco a raggiungere un po' in affanno e proprio all'ultimo secondo per via di un ritardo fra le decine di mezzi di trasporto che ho utilizzato per arrivare al porto: senza rendermene veramente conto (in dormiveglia), ho attraversato la manica in bus, Londra in metropolitana e mezza Inghilterra in treno (Holyhead si trova in Galles!). Vengo accolto dalla figlia di altri amici di famiglia e da un vento gelido, oltre che da una invisibile e fastidiosa pioggerella. Più che la città apprezzo le campagne circostanti, dove abbiamo modo di avventurarci il giorno seguente sotto la guida di un irlandese a dir poco bizzarro che organizza economici tour in giornata verso la zona di Kilkenny. Sono giorni in cui ho smania di macinare chilometri e inoltre voglio arrivare in tempo all'appuntamento che ho in Scozia di lì a pochi giorni con tre amici dell'università, casualmente là in vacanza. Quindi saluto e lascio Dublino dopo 2 giorni, senza essermi goduto veramente la scena notturna dei suoi pub.
Devo imbarcarmi il giorno seguente da Belfast, è già passata la prima settimana. Ci arrivo in treno e capito in un ostello gestito da 9 giovani, che mi raccontano e mi aprono le porte del loro del loro ostello-comunità, dove regna l'hippagine, il calcio sul proiettore, la birra e la musica a palla. In realtà non mi trovo molto a mio agio e dopo un po' mi ritiro da buon “ammazza-balotta” a dormire. La mattina ho tempo girarmi un po' il centro (che non è niente di che) ma non i quartieri di periferia dove sono avvenuti gli scontri negli anni '80 - '90  e che, come a Berlino, sono tappezzati di graffiti lungo il muro di separazione fra Irlanda e Irlanda del nord. In tarda mattinata mi imbarco per la Scozia e conosco una americana pazzoide (sprovvista di pantaloni lunghi), che è sopravvissuta un mese in Irlanda e ora è diretta verso il nord della Scozia.



L'incontro con i miei amici dell'università è bello e avviene in una piazza di Glasgow. Ci troviamo subito in sintonia e, sebbene avessi in programma di stare con loro soltanto una notte o due, finisco per accompagnarli fino al giorno della loro partenza per l'Italia ( 5 giorni dopo). Ci vediamo Glassgow ed Edinburgo (molto bella) e qualche angolo di nord verso il lago Loc Lomond, che costeggiamo per un tratto in una fangosa camminata fra i boschi e le pecore scozzesi. La cosa più bella in assoluto, però, sono i pub alla sera dove suonano musica irish intorno a un tavolo e dove ho modo di bere tutta la guinness che mi ero perso a Dublino. Quando arriva la domenica è l'ora di salutarci e, per me, di proseguire il viaggio verso il sud dell'Inghilterra.



Prima di arrivare a Londra, faccio tappa a York, che ho modo di osservare dall'alto delle mura medievali. Il centro della città è di quelli che piacciono a me, ma basta uscire dal cerchio delle mura che la città cambia completamente faccia. Arrivo a Londra in tempo per lasciare tutto in ostello e sedermi poi davanti a un apprezzatissimo piatto di taglioni al pesto a casa di Cesare, amico musicista che vive, studia e lavora nell'arco di 300 metri in quello che abbiamo definito il quartiere- villaggio di Fulham. Non a caso al tavolo sono seduti oltre a noi due e Robbi (altro amico scroccone in visita) anche altri invitati dell'ultimo minuto (tutti italiani e musicisti), di cui uno letteralmente invitato a suon di grida dalla finestra (ecco i vantaggi di studiare canto, per chi se lo chiedesse). La serata scorre in frettissima, tanto che riesco a tornare all'ostello solo roccambolescamente con una serie di last-for-the-nigh-metro e una lunga passeggiata notturna alla cieca, durante la quale ho però modo di vedere una fottuta volpe nel bel mezzo della città! Anche il giorno dopo cammino per conto mio e mi perdo instancabile fino a sera, quando prendo un treno per Harwich e mi imbarco alla volta dell'Olanda.




Sul traghetto per Rotterdam dormo come un neonato nella cabina che ho prenotato tutta per me. Sì, è un mese di nomadismo spinto, ma non voglio rinunciare a riposarmi come si deve e concedermi qualche piacere culinario. A costo di spendere un po' di più. Arrivato in terra Olandese –che ho già avuto occasione di esplorare in passato- mi dirigo subito verso un'università verso cui nutro progetti futuri. Dopo l'università, che effettivamente -anche a vedersi e a detta di alcuni studenti che incontro- si conferma un'eccellenza per mio campo di studi, raggiungo la città di Maastricht, un'isoletta di terra olandese circondata da Belgio e Germania. Lì ci studia ormai da 4 o 5 anni la Rebbi, mia amica e compaesana. Convive, anche se in modo un semi-clandestino, con il suo ragazzo olandese. La sera ci rilassiamo sul divano con una maratona di spy movies demenziali, la buona birra e soprattutto la buona erba olandese...e chi ce lo fa fare di uscire?! Unica pecca la musica a palla del bar di sotto che va avanti anche quando le nostre palpebre decidono per noi che è ora di dormire. La mattina del giorno dopo ci giriamo il piccolo centro in bici, facciamo una siesta al parco scaldati dal sole e ci beviamo le ultime birre in un bellissimo pub del centro, la cui attrazione principale è però il vecchio barista, il quale non transige sulla birra che berrai e non te la vende finché non gli dici qual'è il tuo “flavour” e non gliela lasci scegliere a lui. Uscito barcollante di lì, mi infilo su un treno alla volta del nord della Germania.


Arrivo a Colonia verso sera e in ostello conosco un coetaneo tedesco in cerca di lavoro e un inglese con cui condivido un kebab e l'unica passeggiata che faccio per la città (devastata dalla seconda guerra mondiale e ora molto moderna). La vera destinazione è infatti Bonn, che si trova mezzora più a sud e che è famosa soltanto per aver dato i natali a Beethoveen e per essere stata scelta dagli alleati come capitale della Germania ovest. Per qualche motivo questa piccola città mi ha sempre ispirato e -non so se per una sorta di effetto placebo o meno- anche dopo averla vista mi è piaciuta un sacco, penso che ci vivrei. E' una tipica città costruita lungo il Reno, con la sua cattedrale al centro della piazza del mercato, i palazzi storici, tanti viali alberati e spazi verdi e moltissime biciclette. Camminando per le sue vie e sul lungo-fiume ho respirato proprio la tranquillità e la bellezza che cerco in una città. Peccato che parlino tedesco. Il giorno stesso devo però rimettermi in marcia per arrivare in tempo all'appuntamento che ho per quella domenica in Svezia. Arrivo a Brema alla sera, dove mi fermo per dormire. E' un venerdì sera, eppure c'è movimento soltanto nella via dei pub che si trova fra il mio ostello (zona stazione) e il centro. Mi spavento quasi a vedere tutto il centro storico deserto (!) alle dieci di sera e non trovo nessun posto aperto per mangiare, ad eccezione di un Mc Donald. Faccio il pieno di calorie e torno in ostello. Quella sera le dinamiche da camerata raggiungono il loro apice, con un susseguirsi di rumori di smartphone lasciato acceso a caricare dall'altra parte della stanza e di sveglia rumorosissima puntata a tutte le ore. In queste circostanze faccio però amicizia con altri 2 inglesi, in viaggio per l'Europa in bicicletta, con i quali vado a fare colazione e a lamentarmi della notte insonne trascorsa. A mezzogiorno raggiungo Amburgo, dove mi fermo per vedermi un po' il centro (affollatissimo) e mangiarmi un kerrywurst. Poi riparto alla volta della scandinavia.




Arrivo a Copenhagen dopo un viaggio e alcune riflessioni a cui ho dedicato un post a parte su questo blog. Dormo in un ostello non lontano dalla stazione e dai Giardini di Tivoli. Noto che i prezzi sono più alti, ma la città mi fa impazzire e decido di ritornarci per un'altra giornata di ritorno dalla Svezia. 
All'una di domenica -in perfetto orario- arrivo alla stazione di Goteborg, dove mi abbraccio timidamente (non ci vedevamo da circa 10 anni) con una specie di zio (il cugino di mia mamma, tecnicamente) che si è offerto di ospitarmi appena ha saputo che passavo dalla Svezia. Anche con il resto della famiglia (moglie e due figli), i primi approcci sono molto alla svedese, fatti di mezzi sorrisi e domande un po' imbarazzate. Però con il passare del tempo il rapporto fra me e loro si scioglie alla grande, fino all'ultima sera insieme (3 giorni dopo), che passiamo a mangiare bucatini e fare giochi di società. Goteborg è una città di porto, più piccola ed eterna seconda rispetto a Stoccolma, ma in fin dei conti carina e arricchita da un'interessante scena artistica/alternativa.



Mercoledì mattina raggiungo Stoccolma, dove vive l'altro zio svedese con la sua famiglia. Anche loro si sono offerti di ospitarmi sebbene siano entrambi molto impegnati dalle importanti responsabilità che rivestono e abbiano due figli piccoli. Stoccolma ha tutto un altro aspetto, è una città molto più antica ed è costruita su 13 isole al centro della foce di un grande fiume. Giro e rigiro affascinato l'isola della città vecchia, dove c'è anche la sede reale. Per certi versi mi ricorda un po' la collina di Montmarte a Parigi. Il giorno seguente lo dedico invece a ricercare i luoghi dove è ambientata la trilogia di Stieg Larson (per la quale ho avuto una fissazione qualche anno fa) e a visitare l'Università di Uppsala, dove potrei finire a studiare per la magistrale. Venerdi mattina, a sei  giorni dalla scadenza del biglietto Interrail, inizio a ridiscendere verso sud e avvicinarmi a casa. Non prima di aver visitato il Parlamento svedese però, proprio di fianco alla stazione.



La seconda volta a Copenhagen nella stessa settimana non mi permette di vedere molto di più della prima volta. Direttomi subito verso l'università, altra possibile destinazione di studio per la magistrale, incontro infatti tre studenti a cui chiedo qualche informazione sulla vita in Danimarca ecc. Loro, in procinto di andare verso il pub degli studenti, mi prendono sotto la loro ala e iniziano a  offrirmi delle birre (essendo io privo di corone danesi). Alla fine rimaniamo a parlare dalle 16 alle 21 e solo allora riesco a dileguarmi e avviarmi verso l'ostello. A differenza delle città tedesche, Copenhagen è molto viva anche di sera. Proprio a due passi dal mio ostello è improvvisata una festa all'aperto con dj, carretti di birre e centinaia di studenti tutti all'incrocio di questa strada. Anche intorno è pieno di localini alternativi e minimarket aperti h 24. Lascio la valigia e torno fuori per farmi un giro ma stavolta non ho voglia di perdermi e fare tardi, quindi resto nei dintorni e non mi prendo nemmeno da mangiare (è un giorno o due che il mio stomaco non sta benissimo, meglio aspettare di vedere come sto a colazione). Non posso fare a meno di notare quanti italiani vivono qui e quante belle ragazze ci sono. Mi fermerei volentieri più a lungo, ma ancora una volta ho dei tempi da rispettare. 


E' l'ultimo sabato sera del viaggio quando arrivo alla stazione di Berlino e mi abbraccio -per nulla timidamente- con Jonathan, il mio compagno di viaggio e dell'università degli ultimi anni, anche lui in fase di nomadismo (senza essersi laureato però ;D). Lasciamo tutto l'armamentario in ostello e usciamo di nuovo per vivere un po' la scena underground. La metropolitana e le strade che ci accolgono quando risaliamo in superficie sono completamente intasate di giovani con la birra in mano. Per qualche attimo ho la sensazione di trovarmi in un film di zombie, viste le orde di ubriachi che ci assalgono e i baby-spacciatori che ci importunano ogni 3 x 2 snocciolando nomi di droghe. A un certo punto ci infiliamo a mangiare qualcosa e quando usciamo -dopo diversi tentativi andati a vuoto per ascoltare un po' di elettronica berlinese o infilarci di straforo in una qualche disco- prevale il buon senso e ci dirigiamo verso il letto. Il piano per il giorno dopo è infatti di noleggiare delle bici e girarci la città. Cosa che facciamo, senza però calcolare che è il primo maggio. Dalla città di zombie della sera prima, Berlino è diventato un vulcano in eruzione. Incappiamo in due manifestazioni: una più politica e in stile festa dell'unità sotto la Porta di Brandebugo, l'altra molto più anarchica e giovanile nella zona del fiume in Friedrichstrasse. Passiamo un'altra notte di camminate a Berlino e la mattina dopo ci dirigiamo verso Praga.



Praga è una città totalmente diversa da Berlino (come lo sono tutte le città da cui son passato): è una città storica ben conservata ed è diventata una città acchiappa-turisti, un po' come Venezia. Noi non abbiamo tanto tempo a disposizione e non vogliamo certo passarlo in coda per visitare musei o cose del genere. La prima cosa che decidiamo di fare è di scalare il monte da cui svetta il borgo antico di Praga, con il suo “castello” e le varie chiese. Facciamo bene, perché la salita ci prende molto più tempo del previsto e torniamo giù che sta già diventando sera. In ostello facciamo amicizia con due ragazzi paraguayani (uno in visita dell'altro) e ci offriamo di cucinare un piatto di spaghetti, mentre loro mettono a disposizione una bottiglia di vino. La discussione va avanti fino a tardi e rimandiamo alla mattina “presto” (“mi raccomando alle 7 siamo in piedi e prepariamo pure la valigia per il check out”) l'ultimo giro per la città. E' infatti già martedì e ci manca l'ultima tappa prima del ritorno a casa. Comunque Praga è un bellissimo posto, come tutta la Repubblica Ceca a giudicare da ciò che vedo dal treno. E' una di quelle città dove si incontrano l'Occidente e l'Oriente, nella fisionomia delle persone come nelle forme dei palazzi e delle chiese. Inoltre è storicamente uno dei principali centri ebraici dell'Europa, come testimoniano le 7 sinagoghe e i cimiteri del quartiere ebraico.




Vienna è la nostra ultima tappa. Qui il nostro cammino si divide momentaneamente e torniamo a casa per strade diverse. Arriviamo sotto la pioggia battente, che per fortunata si placa (ma non definitivamente) quando usciamo dall'ostello per un'ultima passeggiata notturna. Attraversiamo le piazze vuote e luccicanti di pioggia. Ci fermiamo a bere in uno dei pub ancora aperti e poi proseguiamo la nostra camminata, entrando nel giardino e fra i palazzi imperiali degli Asburgo. Sono le tre quando appoggio la testa sul cuscino e le otto meno dieci quando la risollevo. Ci resta il tempo per prendere un caffè, ma lo vogliamo fare con classe e raggiungiamo il Sacher Hotel, dove ovviamente non possiamo non ordinare anche un pezzo di torta sacher. Sorvoliamo sul conto con un'alzata finale e ci auguriamo “buon viaggio” a vicenda.



Io inizio la discesa finale verso Bologna, che in treno è pressoché infinita: circa 10 ore considerando che le coincidenze effettivamente coincidano, cosa che non succede per via di un ritardo (!!) del treno per Innsbruck e che mi costringe a prendere un taxi e a spendere tutti i soldi rimasti. In questo modo riesco però a salire, sotto la neve, sul regionale diretto Brennero-Bologna (dove mi trovo a scrivere queste parole) che sta per arrivare a destinazione poco prima di mezzanotte e in perfetto orario. Si conclude così questa avventura, che da fuori potrebbe sembrare frenetica o addirittura distruttiva, ma che invece è stato un vero piacere, come un lento treno ben oliato sulle rotaie, che col suo ritmo rinsavisce l'anima e con l'alternarsi dei luoghi, dei popoli e dei climi che attraversa non annoia mai. Continuerei o partirei da capo senza nemmeno pensarci se mi venisse chiesto, ma -purtroppo- per ora il viaggio è finito.






GLI INCONTRI
Viaggio per andare a trovare amici e per raggiungere determinate mete, quindi non sono completamente allo sbando e forse sono meno aperto a imprevisti, avventure e deviazioni. Però faccio lo stesso incontri di tutti i tipi, soprattutto negli ostelli, e voglio raccontare qualcuno di questi. 


Il primo che faccio in realtà non è molto felice e non è nemmeno un vero e proprio incontro. Si tratta di un signore sulla sessantina, che noto nello spazio comune dell'ostello a Lione. E' la reincarnazione del tipico vecchio francese di cui Megg Ryan fa l'imitazione nel film "French kiss", immaginandolo seduto a un bar a fumare e ordinare scorbuticamente caffè. Mi resta in mente perché poi me lo ritrovo anche in camera, nel letto a castello di fronte al mio. Sento il suo cattivo odore, tipico dei senzatetto o di chi non si lava per molti giorni. E' sempre lo stesso odore, o molto simile, se ci si fa caso. La mattina dopo, quando mi alzo e vado a fare colazione, lo ritrovo nella stessa identica posizione del giorno prima: seduto allo stesso tavolo, su cui è appoggiata solamente una bottiglia di coca-cola. 
Il signore guarda nel vuoto e si scola la bottiglia a piccoli sorsi, emettendo periodici ruttini gutturali (una sorta di singhiozzo). A dir la verità, ogni tanto guarda verso di me (che sono seduto nel tavolo di fianco). Ha uno sguardo triste e mi fa una gran pena. Però non sono nello stato di attaccar bottone e rispondo soltanto con un sorriso al suo "bonjour" prima di sedermi, fare colazione e andarmene. 




A Parigi incontro Marco, studente italiano in un college inglese e "in vacanza" a Parigi. In realtà i suoi genitori a Parigi ci lavorano da qualche anno e quindi, per lui (cresciuto a Roma), Parigi è diventata letteralmente una seconda (o terza?) casa. L'altra cosa che mi colpisce di lui è la sua precocità, se si dice così: per una fortunata serie di coincidenze che riguardano il suo percorso di studi (primina, scuola superiore con sistema francese e università inglese), lui (nato nel '96) si trova quasi esattamente nello stesso punto in cui mi trovo io (nato nel '93)...cioè si sta per laureare!! Curiosamente a Parigi re-incontro anche altri amici con passati travagliati alle spalle. Uno è Guy, un mio vecchio compagno di corso a Bologna. Nato a Parigi da madre greca e padre italiano, cresciuto in Grecia dai 2 ai 18 anni e trasferitosi in Italia per l'università, ora vive a Parigi per lavorare nella boutique di vini italiani della sorella. Infine re-incontro Arnaud, parigino a tutti gli effetti, che però avevo conosciuto in Sicilia, dove si trovava in vacanza insieme ai suoi compagni dell' erasmus romano.


Durante l'attraversata della Manica conosco, al freddo delle 2 di notte e del vento di Calais, un ragazzo del Kashmir. Mi racconta la situazione incredibile del suo paese, conteso da oltre vent'anni fra India, Pakistan e Cina, che di fatto governano ognuna alcuni pezzi della regione. Non ricordo il nome del ragazzo, lo chiamerò X. X mi dice che studia in Inghilterra e che, per il momento, non ha intenzione di tornare a casa. “Anche se non c'è la guerra”, racconta, “la situazione non è tollerabile perché non si può andare da nessuna parte senza essere fermati in continuazione da militari armati che chiedono i documenti”. Nel frattempo, come è giusto che sia, X e la sua ragazza (indiana) si godono l'Europa e stanno tornando da un viaggio nel Sud Italia. Poco dopo li rivedo addormentati sull'autobus, e penso che sono proprio una bella coppia.



Dopo l'attraversata del mare irlandese (per raggiungere la Scozia), incontro Amanda. Per la precisione ci incontriamo già in terra scozzese, appena scesi dal traghetto e intenti a cercare la fermata del bus diretto verso il centro abitato più vicino. Trovata la fermata, ci mettiamo a parlare nell'attesa. Lei è americana, nata in Oregon e trasferitasi in Colorado per gli studi (psicologia). Ottenuto un lavoro come insegnante, capisce che non è la sua strada e molla tutto. Da qualche anno alterna periodi di viaggio (prevalentemente in solitaria) a periodi di lavoro (giusto per raccogliere un po' di soldi e partire di nuovo). Viene da un mese in Irlanda e viaggia soltanto con uno zainetto da 40 o 50 litri a dir tanto. Facciamo il viaggio per Glasgow insieme, parlando e ritrovandoci su molte cose: la nostra visione del mondo per il futuro, Donald Trump e l'America, il senso della vita ecc ecc. In stazione le nostre strade si dividono e ci salutiamo. Poi però succede una cosa curiosa: la stessa sera, ci reincontriamo in ostello. Io sono con i miei amici, quindi rimaniamo d'accordo per uscire tutti insieme la sera dopo. Così succede, ma la cosa curiosa è la trasformazione che avviene in lei! Dalla viaggiatrice riflessiva del giorno prima, mi ritrovo davanti una festaiola strillona, stra-americanizzata e anche un po' isterica. Per contro, noi le stiamo molto simpatici e pure i miei amici sono molto in buona. Per cui, una volta per strada, inizia l'intonazione di tutte le canzoni stupide e in inglese che ci vengono in mente (dagli Aqua a John Denver). La cosa va avanti per tutto il centro di Glasgow, fra i passanti che ridono e quelli che scuotono la testa e Amanda che se la fa sotto dalla ridarella.

In un pub di Glasgow incontriamo un presunto discendente di William Wallace. Sa tutto della storia scozzese e, a dire il vero, è un po' uno di quei tipi che vogliono dare l'impressione di sapere tutto di tutto. E' un uomo abbastanza trasandato, sulla quarantina, che siede al bancone e impezza chiunque gli si sieda di fianco. E' anche curioso, fa molte domande sull'Italia (paese che ovviamente ha già girato in lungo in largo nella sua vita) e osserva chi parla con un mezzo sorriso, da cui si notano i suoi denti sporchi. Offre a me e Matteo una birra a testa e ci racconta di William Wallace, della sua spada pesantissima e della vera bandiera scozzese (non quella bianca e blu!!).
A un certo punto guarda l'orario e si accorge che deve correre per prendere l'ultimo treno utile per tornare a casa. Ci saluta e ci lascia pure la sua birra (non ancora toccata). In realtà cinque minuti dopo è ancora fuori dal pub, dove ha incontrato gli altri 2 nostri amici e sta fumando “l'ultima sigaretta” in loro compagnia. Dopodiché se ne va veramente.

Sempre a Glasgow e sempre in ostello, ci imbattiamo in un gruppo di giovani che ci invitano per andare a ballare. Eravamo già in direzione del letto e rimaneva poco nei nostri portafogli, ma accettiamo. Fortunatamente il posto è vicino e l'ingresso non è caro, anche se la serata sembra davvero moscia. Comunque ci sediamo (su un divano semicircolare nella penombra di questo scantinato dove si trova il locale) e iniziamo a parlare. Si tratta di un gruppo di volontari del servizio civile internazionale. Vengono da tutte le parti d'Europa e sono lì per una sorta di raduno o di conferenza. Fra loro c'è anche Sara, una ragazza delle Isole Canarie, che è seduta di fianco a me. Mentre parla noto i lineamenti dolci del suo viso e il calore della sua voce. C'è feeling e, anche quando ci alziamo tutti a ballare, restiamo vicini. Prima di andare via, lei va in bagno e io la aspetto. Appena torna, le chiedo un bacio. Capisco che non aspettava altro. Rimaniamo così per un sacco di tempo, mentre i miei amici tornano in camera. Quando ritorno sono ancora svegli che mi aspettano e mi accolgono come il “loro eroe”. E' una grande novità per me, solitamente troppo timido e serio per questo genere di “imprese”. Ma quella notte, ebbro di dolcezza, mi godo tale gloria a pancia su, finché il sonno non mi avvolge.

Circa una settimana dopo, in Olanda, sono seduto sul prato di un'università a pranzare in compagnia di Leonardo, amico di amico (fra l'altro omonimo). E' uno dei primi giorni di sole e il giardino del campus brulica di ragazzi seduti in cerchio, a prendere il sole o a giocare a frisbee. Sono venuto a disturbare Leonardo perché so che, da Bologna, è venuto a studiare qui per la magistrale. Mi racconta di quel posto (così piccolo per ospitare un'università tanto importante!) e della sua esperienza: da uno di quegli studentati-grattacieli, si è dovuto trasferire in una casa più a misura di “essere sociale” (nel cosidetto quartiere “hippy” o “di quelli che non studiano”); visto che gli olandesi (e soprattutto le olandesi) non lo considerano pari, ha legato più che altro con gente della sua “razza” (greci, turchi e spagnoli); l'università prende molto tempo, ma -rispetto ai nostri standard- è abbastanza una cavolata, visto che tutti gli esami sono scritti “open book” (con libro e appunti sotto). Finito gli spaghetti cinesi della mensa, mi prende con sé per un ultimo tour dell'immenso campus e poi ci salutiamo. 

In ostello a Colonia conosco Marc, viaggiatore inglese di formazione ingegnere o, forse meglio, ingegnere inglese di professione viaggiatore. E' appena tornato da un viaggio di sei mesi che lo ha portato- in bici e in compagnia di un amico- al confine fra Cina e Turkmenistan, dove si è dovuto fermare. Durante il viaggio ha sfruttato Couchsurfing e ha stretto un rapporto (non mi è dato sapere se di coppia o se solo di amicizia) con una ragazza che ora si trova a Colonia e che lui è venuto a trovare. Unico dettaglio è che quella mattina lei non si è presentata in aeroporto e su Facebook non risponde. Mi racconta la sua storia mentre facciamo un giro notturno per Colonia e cerchiamo qualcosa di aperto dove mangiare dopo le 22. La mattina dopo lo ritrovo malato al tavolo vicino alla reception, però la ragazza ha letto facebook e risposto che può raggiungerla nel pomeriggio. Gli regalo un aulin e saluto anche lui.

La sera dopo, a Brema, incontro altri due viaggiatori incalliti. Anche loro giovani ingegneri inglesi (o qualcosa del genere) e anche loro biciclettari. Vogliono arrivare in Polonia. Stringiamo amicizia per solidarietà, nel tentativo di sdrammatizzare dopo che tutti i telefoni e le sveglie della camerata hanno suonato a intermittenza per quasi 30 minuti poco dopo l'alba. Cerchiamo di riaggiustare la giornata facendo colazione insieme al supermercato sottostante. Inizia la caccia ai prodotti meno cari e con più kilocalorie. Alla fine loro optano per qualche bignè, cioccolata, banane e baguette. Io decido di prendere anche della frutta secca, fra cui alcune albicocche disidrate (“The farmer's snack”) che saranno la mia rovina gastro intestinale qualche giorno dopo. Finita la colazione ci salutiamo già, anche se siamo tutti diretti ad Amburgo, con una lieve differenza nei tempi di percorrenza: 2 ore mie contro le loro 9-10.

In ostello a Copenhagen faccio in tempo a fare un bagno di italianità trovandomi a colazione una banda di cinque o sei italiani di Lecco. Sono in vacanza e tutti rigorosamente maschi Parlano di calcio, colorendo il linguaggio con continue bestemmie ed espressioni lombarde. Però hanno un obbiettivo ben chiaro in mente: dopo il graffito su un muro di Copenhagen simboleggiante la storica promozione del Crotone in serie A (squadra del cuore di DottMace, lo street artist del gruppo), vogliono recarsi a Malmo -città natale di Ibrahimovic- e omaggiare lo “zingaro” con un seondo graffito.



Infine la coppia più strana la incontro sul tratto Copenhagen-Berlino. Si siedono accanto a me in entrambi i treni che prendiamo, eppure sembrano non notarmi affatto. Io pure cerco di non fissarli troppo, ma sembrano veramente usciti da uno di quei libri molto fantasiosi per bambini. Infatti li associo mentalmente a una coppia di ladri vista forse in qualche puntata di Pippi Calzelunghe o da qualche parte, ma anche a una non ben identificata coppia di esploratori. Sono probabilmente danesi o comunque di qualche paese nordico e avranno poco più di trent'anni. Si siedono l'uno di fronte all'altro dopo avere appoggiato le loro ingombranti valige sui sedili a lato. Uno dei due ha legato a una delle sue borse un mazzo di pochi bastoni tutti storti, che puntualmente cadono e si impigliano fra i sedili durante gli spostamenti dal treno. Questo tipo, dai capelli neri, è anche quello vestito in modo più stravagante: con pantaloni attillati e un gillet nero a coprire la camicia bianca in stile medievale (senza bottoni). L'altro, biondo e barbuto (un vero vichingo), è vestito semplicemente da fricchettone. Il moro ha l'aria di uomo più vissuto e capitano dei pirati, come dimostra la maestria con la quale insegna al biondo a fare delle specie di nodi a un rotolo di spago che hanno con loro. Il biondo ascolta e mette in pratica pazientemente le sue istruzioni (per l'intera durata del tratto Amburgo-Berlino), e così passano il tempo. In silenzio e completamente al di fuori della realtà. Ogni tanto il biondo si alza per comprare del caffè, mentre il moro tira fuori dalle sue tasche ogni sorta di caramelle e cioccolatini. Lì perdo di vista nel caos della stazione di Berlino, mentre cerco di orientarmi fra i tanti piani e le scale mobili che la caratterizzano.