giovedì 7 marzo 2019

Uganda - Parte I. "Entebbe e la mia valigia"

Un grande mercato. Questa la prima impressione che ho dell'aeroporto di Entebbe. E' sera tardi, ma in molti brulicano nel grande atrio con al centro la cinghia per il ritiro valigie. Ai lati vedo negozi che sembrano di un'altra epoca. Aspetto la mia valigia, ma non arriva. Man mano le vedo diminuire una dopo una, finché non rimangono le ultime due a girare a vuoto. Ma la mia non c'è. Mi dicono di non preoccuparmi e di lasciare un indirizzo e un numero di telefono. Faccio così, ma sono preoccupato che la valigia se la sia presa qualcuno mentre io ero trattenuto per il controllo documenti. In ogni caso non ho molta scelta ormai, il mercato si è svuotato e Yasmin mi sta aspettando da più di un'ora.

La vedo attraverso il vetro...si è fatta le treccine ("braides") come usa lì. Ci abbracciamo dopo più di un mese e mezzo e le spiego cosa è successo, ma il tassista e Bridget (amica e collaboratrice di Yasmin) hanno giustamente voglia di darsi una mossa dopo tutta questa attesa. Così partiamo.
Dal taxi per Kampala (la capitale), noto subito una cosa: il nero intensissimo della notte. Non ci sono lampioni, e le uniche luci provengono dalle abitazioni che incontriamo sulla strada. Man mano noto quanta gente in realtà ci sia in giro, nel buio più pesto. Provo un sentimento strano...all'improvviso ho le sue mani fra le mie e mi trovo in Africa.

Con l'avvicinarsi della città si amplificano i rumori e inizia il traffico. Dopo circa un'ora arriviamo all'hotel. La zona è quella dell'università di Kampala, che si chiama Makerere. E' piuttosto su e giù come quartiere e ci sono molte stradine buie in terra battuta. Quasi ad ogni incrocio ci sono gruppi di motociclisti che aspettano. Sono i boda-boda, moto-tassisti. Man mano mi accorgerò di quante motociclette girano per il paese. E' qualcosa di incredibile...Mi vien detto che i boda-boda offrono il modo migliore per girare in città: vanno veloci, incuranti del traffico e spesso anche delle regole, e costano poco.

Makere University - Kampala

I boda-boda aspettano all'ombra
Nei tre giorni che seguono nessuno sa dirmi nulla riguardo alla mia valigia. Il quarto giorno mi dicono che sono riusciti a rintracciarla, in qualche modo è rimasta ad Amsterdam durante lo scalo. Ma dovrebbe arrivare la sera stessa o al limite il giorno seguente! Così decidiamo di cercare da dormire a Entebbe e guardarci un po' la città nell'attesa della valigia.

Entebbe è una città di circa 70 000 abitanti, a meno di un'ora da Kampala. Durante il periodo coloniale inglese era stata scelta come centro politico del protettorato. Il nome stesso "ntebe" significa "seggio" in Lugandese, uno dei dialetti più parlati in Uganda. Rispetto a Kampala, Entebbe è molto più tranquilla e più "vuota". Si vede di più l'influenza occidentale nell'architettura e nelle infrastrutture.

Una delle prime cose in cui ci imbattiamo, dopo aver lasciato le nostre cose, è un campo da golf. Colpiti dal vedere famiglie ugandesi alle prese con le mazze e i mini-van, mi avvicino di qualche metro e faccio per scattare una foto. Neanche un minuto dopo, un addetto del golf club si avvicina minaccioso pretendendo che lo seguiamo presso l'ufficio e che paghiamo una multa o non so che per essere entrati nella loro proprietà. Fortunatamente, dopo una discussione di almeno 5 minuti e la cancellazione davanti ai suoi occhi della foto, riusciamo a proseguire (senza multa). 

Yasmin a spasso fra le ville di Entebbe
Campagna intorno ad Entebbe
Ma l'attrazione principale di Entebbe è senza dubbio il Lake Victoria, il lago più grande d'Africa. Camminiamo scalzi sulle rive del lago, che ricadono in parte all'interno del giardino botanico della città. E' il tramonto e ci sono centinaia di uccelli che volteggiano intorno a un'isolotto poco al largo, sono pronti per andarsene a dormire. Invece noi, volendo proseguire lungo la riva, usciamo inconsapevolmente dal giardino botanico e ci ritroviamo all'interno di una mini-baraccopoli semi-buia. Ci sono baracche in lamiera, gente che cucina all'aperto con fuoco alimentato a carbone e file di panni stesi da un albero all'altro. Curiosamente nessuno sembra fare caso a noi, che risaliamo il villaggio in cerca della civilizzazione e dell'asfalto. Mi sembra incredibile che esista questo ecosistema di povertà, nascosto ma a due passi dalle villone e dagli uffici con vista lago.

Finito di mangiare (ovviamente pesce) in un posto per turisti, ma vuoto visto la bassa stagione, ci dirigiamo verso l'aeroporto in boda-boda. In prossimità dell'aeroporto c'è un posto di blocco, oltre il quale i boia-boda non sono ammessi (non lo sapevamo). Dopo qualche minuto di discussione vien fuori che se noi diamo "qualcosina", tipo 10 dollari, alla guardia allora potremmo passare. Ma invece decidiamo di salutare il moto-tassista e la guardia e proseguiamo a piedi. Se non che, un tassista, vistoci camminare, insiste gentilmente per offrirci un passaggio gratuito fino al terminal, che accettiamo di buon cuore.

L'aeroporto di Entebbe, ad oggi l'unico internazionale del paese, è diventato famoso per via di una vicenda incredibile successa nel 1976 che è conosciuta come Operazione Entebbe. E' infatti verso questo aeroporto che fu dirottato un volo della Air France per mano del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Il volo era partito da Tel Aviv, aveva fatto scalo ad Atene ed era diretto a Parigi. A bordo c'erano 248 passeggeri più l'equipaggio (12 persone), e una buona parte dei passeggeri erano israeliani. L'intento degli attivisti palestinesi, che furono supportati anche attivisti tedeschi presenti durante l'azione, era di portare l'attenzione mediatica sulla situazione palestinese e di richiedere che vari compagni di lotta al tempo imprigionati venissero scagionati in cambio della liberazione degli ostaggi. L'aeroporto di Entebbe venne probabilmente scelto per via della presenza di Amin al governo del paese, il quale si dimostrò simpatizzante nei confronti dell'FPLP. L'aeroporto venne trasformato in un fortino militare, dove gli attivisti e i militari ugandesi tennero prigionieri i passeggeri per svariati giorni. Il governo israeliano, trovatosi in una situazione molto difficile, decise di non cedere al ricatto e invece preparò un'azione militare per la liberazione degli ostaggi e l'uccisione dei sequestratori. Per conoscere l'esito della storia, consiglio di vedere il bellissimo film "7 days in Entebbe", uscito nel 2018!

Daniel Brühl nei panni di un'attivista tedesco delle Revolutionäre Zellen, coinvolte nel dirottamento del volo Air France 139 

Idi Amin, presidente dell'Uganda dal '71 al '79. Per un approfondimento su di lui e sull'Uganda di quegli anni,  il film "L'ultimo re di Scozia" è molto consigliato

Ritornando a noi, sono le 22 passate quando riusciamo a entrare in aeroporto (in condizioni molto meno drammatiche di quelle del '76). Ci tocca aspettare parecchio, ma a un certo punto mi fanno entrare in un ufficio. Mi dicono: "We have your bag!". E appoggiano sul banco una valigia tutta avvolta con della plastica verdastra. A me questo già mi pare strano, ma poi vedo il biglietto di imbarco e leggo: "Gonzales". E' chiaro che questa non è la mia valigia, e lo capiscono anche loro. Così mi fanno uscire, e ci tocca aspettare ancora, un po' meno speranzosi di prima. Ma in realtà, mezzora dopo, quando mi richiamano dentro, riconosco subito la mia valigia. Ce l'abbiamo fatta! Tra un po' mi vien da piangere, ma non perché ci fosse chissà che lì dentro. Semplicemente perché mi sento di nuovo equipaggiato e ho l'impressione che finalmente questa avventura in Uganda può cominciare per davvero!


Il Lake Victoria al crepuscolo